San Cristoforo tra i Santi Rocco e Sebastiano
circa 1532-1533
275 x 240 cm
olio su tela
La bocca dischiusa per la sorpresa, prossimo alla riva, solo ora Cristoforo scopre la vera natura del bambino che si è caricato sulle spalle, di cui s'è fatto carico da sponda a sponda. Questo di Lotto è gigante che non sembra patire il peso di quell'essere minuscolo e vivace. Ne apprende la natura non perché Gesù si riveli con la parola, ma per il gesto e per ciò che quello muove. Non c'è tempesta, né turbinio d'aria, solo lievi increspature d'onde, in mare. Due minuscole barche prossime alla riva hanno vele rigonfie, è vero, ma sono sospinte da vento di terra. Dalla direzione opposta muove invece la sferzata invisibile che agita d'improvviso il panno rosso brillante che fino a un istante prima doveva aver avvolto il busto di Cristoforo.
Come il vento, così la luce: non una sola fonte. Quella all'orizzonte, rarefatta nel consueto cielo lottesco, mai privo di nuvole, serve per indicare un punto indefinibile. Qualcuno lo chiamerebbe "infinito". L'altra, quella che viene dalla destra del dipinto, disegna l'ombra di Cristoforo sulla superficie del mare, si distribuisce e dà forma ai corpi del Bambino, del gigante e dei due santi taumaturghi, Rocco e Sebastiano, esalta le loro carni, gli abiti, i panni, anche quelli a terra, ma, misteriosamente, non la natura ai loro piedi, la pur ricca botanica lottesca, che resta oscura, come irredenta, come fosse ancora sotto il giogo del serpente, di quel serpentello dall'aria innocua che scivola sotto il cartiglio che riporta la firma dell'artista. C'è una linea verticale che corre dall'alto, dal braccio sollevato di Gesù, che con la mano destra indica la Trinità vittoriosa, fino al terreno, alla sinuosità tentatrice. Cristoforo, Rocco, Sebastiano rappresentano l'umanità, santa nel suo essere della stessa forma del Figlio. Santi, cioè colonne d'umanità.