Altrove atteso, prefigurato nel pane e nel vino, sull’ara sacrificale, lui stesso altare del sacrificio, già centro, egli possiede ora forma di uomo: Cristo. L’attesa è compiuta. Il tempo è compiuto. Non c’è spazio in questo dipinto che per un’unica natura, quella umana. È a quella natura, che ha qui tanti volti, che l’uomo dalla natura duplice, l’uomo-Dio, si volge. L’istante è quello del silenzio, del Cristo silente, mentre la marmaglia discute, blatera, gli domanda circa la legge e la moralità. I suoi sono occhi che osservano silenziosi. Per parlare usa i gesti delle mani, Cristo. Quelle mani dunque, non per additare, strattonare, accusare, condannare, lapidare. Letto il racconto dell’evangelista Giovanni, Lotto ha scelto qui l’istane che precede il chinarsi dell’uomo-Dio, dunque anche la sua (misteriosa) scrittura “col dito per terra”, e le sue parole lapidarie, dissolventi qualsiasi umana presunzione: «Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra (Gv 8,7). Le sue mani, le sue dita non ancora sporche di terra, pariano la lingua che pacatamente, ma fermamente frena arroganza e presunzione umane (la mano destra) e che con pollice indice e medio ricorda l’entità trina cui sola spetta il giudizio morale (la mano sinistra). La sola umanità che posa gli occhi sulle mani di Cristo è quella della donna, l’accusata. Lotto non ha avuto certo timore a dipingerla in tutta la sua bellezza, la sua eleganza. C’è candore e profumo in quella pelle esaltata dalla consueta luce lottesca, la cui origine, anche qui, è più interiore che esteriore. L’estremità dei suoi lunghi capelli, stretta dalla rozza mano del soldato, la sua testa, di poco piegata di lato e la sua bocca, aperta quanto basta per disegnare una smorfia di dolore, di umiliazione, sono lì a ricordarci, fissandola in un istante eterno, la violenza, anche fisica, dell’uomo che s’arroga la facoltà di giudicare.